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 BATTERIA AL PIOMBO

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MessaggioTitolo: BATTERIA AL PIOMBO   BATTERIA AL PIOMBO Icon_minitime1Ven Set 23, 2011 6:42 pm

Note tecniche su batterie al piombo

Come è fatta
Di batterie ne esistono di una grande varietà di tipi. Nel presente
documento parleremo solo delle batterie al piombo. Iniziamo con una precisazione
su i termini impropri usati. Il termine batteria, comunemente usato, è dovuto
al fatto che si usano sempre ‘batterie’ cioè insiemi di
accumulatori connessi tra loro per fornire energia elettrica. Il termine giusto
sarebbe quindi ‘batteria di accumulatori’ o semplicemente
accumulatore e non quello di batteria. Poiché però è nell’uso comune
questo termine lo useremo ugualmente. L’elemento base di una batteria al
piombo è la cella, o accumulatore, composta di tre elementi: una coppia di
piastre, anodo e catodo, e dal liquido in cui sono immerse, elettrolito. Le
piastre sono costituite, per le batterie convenzionali, da ossido di piombo
(PbO) reso molto poroso per migliorare il funzionamento elettrochimico della
batteria. Le piastre sono poi immerse nell’elettrolito che è una
soluzione di acqua distillata e acido solforico nel rapporto di circa 5 a 1. La
batteria è quindi caricata (formata) applicando una tensione tra le due piastre
e causando la ‘riduzione’ ad un elettrodo e l'ossidazione
all’altro. Le due reazioni sono mostrate di seguito.


Prima carica (formazione della batteria)
Riduzione/anodo

PbO + 2 H+1 + 2 e-1

=>

Pb + H2O

Ossidazione/catodo

PbO + 2 H2O

=>

PbO2 + 2 H+1 + 2 e-1


Scarica/ricarica (ciclo normale)
Riduzione/anodo

PbO2 + 4 H+1 + 2 e-1 + SO4-2

=>

PbSO4 + 2 H2O

Ossidazione/catodo

Pb + SO4-2

=>

PbSO4 + 2 e-1


Una cella si considera totalmente scarica quando ai suoi capi vi è una
tensione inferiore a 1.7V alla temperatura di 25 C°, e totalmente carica quando
la tensione raggiunge i 2.3 V.

Nella realtà ormai quasi tutti i fabbricanti di batterie non usano più solo
piombo per le piastre ma aggiungono altri elementi come l'Antimonio, il più vecchio
ed ancora in uso o il Calcio sempre più diffuso nella batterie di buona
qualità. Questi elementi servono a far diminuire i fenomeni negativi più comuni
nelle batterie come l'autoscarica, la vita nei cicli
carica/scarica o la tendenza alla solfatazione.





Capacità e prestazioni
Le caratteristiche base di una batteria sono le seguenti:

Tensione

Misurata in Volt è di regola 6 12 o 24V

Capacità

Si misura in ampere/ora e va da 5 a 150 o più Ah

Corrente di spunto

Si misura in ampere e può arrivare a oltre 1000 A

Tipo

Standard sigillate in gel senza manutenzione ecc.


Per quanto riguarda la tensione nelle applicazioni nautiche le
batterie sono, praticamente in tutti i casi, a 12 Volt. Quando servono i 24 V
per un qualche motivo si preferisce mettere in serie due batterie da 12, molto
più facilmente reperibili ed economiche, che non usare una grossa e introvabile
batteria da 24V.
La capacità si esprime come la quantità di ampere/ora (Ah) che la
batteria è in di fornire. La scarica è fatta in un lasso di tempo che varia tra
8 e 10 ora secondo i paesi e dei metodi di misura.
Di massima, e per sicurezza, applicheremo sempre le 10 ore come termine di
riferimento e quindi una batteria, ad esempio, da 80 Ah potrà fornire 8 A per
10 ore. Questo limite, temporale, serve ad evitare valutazioni errate del tipo:
ho una batteria da 120 Ah e la uso per 30' facendogli fornire 240 A, oppure,
con una batteria da 45 Ah alimento un carico di 10 mA per 4500 ore ovvero per
quasi 6 mesi.
Si tratta di considerazioni errate perché una batteria, salvo tempi brevissimi
(qualche secondo) non devono fornire mai una corrente superiore al 10/20 %
della loro capacità. Nel frattempo, a causa dell'autoscarica, la scarica non
può protrarsi per più di qualche giorno (5 o 10) poiché altrimenti
l'autoscarica stessa diventa fonte importante di consumo.
La corrente di spunto in una batteria è la massima corrente di picco
fornibile per un tempo brevissimo, al massimo 5 o 10 secondi, ed in genere
utilizzato per avviare i motori. Questa corrente è in genere 6 o 8 volte la
corrente di targa della batteria e quindi una batteria da 45 Ah potrà generare
una corrente istantanea di 270/360 A. Si ricordi che una scarica prolungata a
questi livelli di corrente può deformare le piastre fino a mandarle in
cortocircuito rendendo l'accumulatore inutilizzabile.
Per quanto riguarda il tipo la distinzione, che fa anche il prezzo è se
ermetica al gel o comune. Le batterie in elettrolito semi solido (gel), sono le
più adatte alle barche a vela, sia perché possono funzionare con alti gradi di
sbandamento, quando non addirittura rovesciate, sia perché sono meno sensibili
ai maltrattamenti e alla scariche anche prolungate. Questi benefici si pagano
con un costo che può essere anche di tre volte superiore ad una analoga
batteria comune.
Queste ultime hanno il pregio di un prezzo decisamente più basso come visto e
sono, ormai quasi tutte, del tipo cosi detto 'senza manutenzione'. Si tratta di
una caratteristica del tutto teorica, anche per quelle pomposamente chiamate
'ermetiche al piombo'. Le batterie, come vedremo, hanno tutte bisogno di
manutenzione e la differenza tra le comuni e quelle ermetiche è che le seconde
abbisognano solo di un po’ meno manutenzione. Diciamo che le seconde le
possiamo controllare ogni sei mesi invece del mese occorrente alle altre.


Per scegliere la o le giuste batterie per la propria barca è del
tutto inutile partire da una analisi dei consumi degli accessori, se è una
barca a motore. I motori necessitano infatti di grosse correnti per essere
avviati con sicurezza. Normalmente i fabbricanti di motori indicano nel
libretto quale è la taglia minima della batteria necessaria all'avviamento e su
questa base occorre scegliere. Se ad esempio abbiamo due batterie, e queste
come vedremo è bene siano uguali, la sola ausiliaria, per batterie scelte come
consigliato dal costruttore del motore sarà ampiamente sufficiente ad
alimentare qualunque accessorio di bordo. Per le barche a vela, in cui i motori
sono piccoli rispetto alle dimensioni della imbarcazione, e quindi il rapporto
con il consumo di bordo diverso occorrerà fare la somma dei consumi che ci si aspetta
di avere in ampere moltiplicati per il tempo d'uso quotidiano. La batteria di
servizio dovrà quindi avere una capacità minima doppia di questo numero o
meglio tripla per sicurezza.





Contenitore e connessioni
Le attuali batterie sono costruite con scatole di contenimento di plastica
ad alta resistenza con l’abbandono di certi materiali, la bachelite, in
uso molti anni fa. La possibilità di rottura del contenitore è quindi ridotta
la minimo, salvo urti eccezionalmente forti, e anche la possibilità di
incrinatura per sovrapressione interna è quasi del tutto eliminata. Una
curiosità deriva dal fatto che questi contenitori pur isolanti non lo sono del
tutto. In alcuni casi quindi una batteria lasciata con il fondo immerso in
acqua di mare, cosa comune sulle barche non molto curate, può scaricarsi ad un
rate assai più elevato di quanto non ci si possa aspettare. È buona norma
comunque mantenere pulito ed asciutto il contenitore. Sulla sommità della
batteria sono posti i tappi di accesso agli elementi attraverso cui eseguire la
manutenzione dell’elettrolito. Nelle batterie normali i tappi sono in
genere vere e proprie viti, oppure bancate di tappi, in plastica facilmente
rimovibili. Nelle batterie cosi dette ‘senza manutenzione’ i tappi
ci sono lo stesso ma sono meno facilmente raggiungibili in quanto incassati
nella parte superiore e coperti da adesivi che scoraggiano l’utente a
rimuoverli. In pratica però anche queste batterie prima o poi avranno bisogno di
un rabbocco e comunque di un controllo. Le batterie ‘sigillate’
sono invece prive totalmente di tappi e la loro manutenzione è realmente zero:
non purtroppo così per il costo.


Per quanto riguarda i terminali questi sono, in genere, di piombo a forma
tronco conica, permettendo il collegamento al circuito esterno con morsetti che
fasciano il cono di uscita della batteria con una notevole superficie di
contatto. Evitare, per usi nautici, l’uso di batterie con morsetti a dado
meno affidabili e con superficie di contatto notevolmente inferiore. La
manutenzione dei morsetti è fondamentale poiché è attraverso loro che la
batteria può fornire corrente correttamente all’esterno. In particolare
il morsetto positivo (+) della batteria tende, per questioni chimiche, a solfatarsi
diventando nel tempo di colore bianco (cristalli di solfato bianco di piombo).
Questo composto chimico tende nel tempo ad isolare la batteria dal circuito
abbassando soprattutto fortemente la massima corrente di spunto che la batteria
può dare. Per evitare il fenomeno basta cospargere i morsetti, meglio se lo si
fa anche per il negativo, di comune grasso di vaselina: i morsetti saranno
definitivamente protetti senz’altra operazione di manutenzione che non
sia il controllo dello stato del grasso.


Prima attivazione
Le batterie sono vendute precaricate e in uno stato chimicamente quasi
inattivo. Ogni costruttore usa le sue tecniche per evitare i problemi legati ad
un periodo di stoccaggio che può anche essere abbastanza lungo. Si eviti,
comunque di acquistare una batteria costruita da più di tre/sei mesi. Anche se
i costruttori indicano la batteria come ‘pronta all’uso’ è
buona norma diffidare, almeno per le batterie importanti come quelle usate
nella nautica, di questo cattivo consiglio. A meno che la batteria non sia
stata costruita il giorno prima o quasi sarà di fondamentale importanza per la
durata della batteria stessa un profondo ciclo di ricarica, a bassa corrente,
che riporti la batteria al 100% della carica prima di un qualunque tentativo di
uso che la scarichi. In caso diverso potrebbe generarsi un effetto memoria che
ci lascerà per sempre una batteria con un limite di carica inferiore al massimo
di targa.





Manutenzione
Le batterie richiedono solo un minimo di manutenzione per essere mantenute
in perfetto stato per molto tempo. Le cose da fare sono:


Mantenere la batteria carica al 100% ricaricandola ogni 2/3 settimane se non
utilizzata
Controllare mensilmente il livello dell’elettrolito quando possibile
(batterie non sigillate)
Controllare il livello di densità dell’elettrolito per accertarsi che
tutto sia regolare
Pulire il coperchio e il contenitore se sporchi
Controllare i morsetti e ingrassarli se necessario
Controllare gli eventuali scarichi della cassa delle batterie se presente


Nel caso di batterie apparentemente danneggiate è possibile tentare cure di
‘rivitalizzanti’ sul cui esito però è difficile fare stime.


La batteria sembra non volersi più caricare. Se si tratta di un
inizio di solfatazione è possibile tentare di ricaricarla a corrente bassissima
per 20-40 ore. La corrente dovrà essere di circa 1/50 di quella di targa della
batteria. Il procedimento potrebbe riuscire a ristabilire la circolazione della
corrente tra le piastre.


La batteria sembra dare meno tensione del dovuto anche dopo una lunga
carica
. Potrebbe essere utile rabbocare l’elettrolito con acido puro
invece che con acqua distillata. Non esagerare con la quantità e controllare
con il densimetro il risultato.


Batteria solfatata. Prima di buttarla un rimedio disperato è quello
di tentare di ricaricarla al rovescio, polo + con polo - del caricabatteria, a
corrente bassissima per un lungo periodo: 20 - 40 ore.
Poi scaricarla, se carica, e, solo dopo, ricaricarla in maniera normale. Sembra
che la solfatazione diminuisca con questa tecnica anche se la batteria sarà
ormai parzialmente compromessa.
ATTENZIONE questa procedura deve essere fatta
solo da persone consapevoli di quello che stanno facendo e, comunque, in una
zona ben ventilata e sotto sorveglianza.





Ricarica
Per fornire energia una batteria deve essere costantemente ricaricata
attraverso una sorgente di corrente elettrica. La sorgente non dovrebbe mai
fornire una corrente superiore al 10% della capacità in Ah della batteria
stessa. Ad esempio una batteria da 80Ah non dovrebbe essere ricaricata ad un
rate superiore di 8/10 A per evitare danni. In campo automobilistico esistono
dei carica batterie, detti rapidi, in grado di fornire correnti talvolta
addirittura superiori a quella di targa della batteria. È il miglior modo per
danneggiare irrimediabilmente una batteria, magari nuova, e comunque
abbreviarne di molto la vita. Un processo di carica violento può infatti
surriscaldare le piastre fino a distorcerle, danneggiare i collegamenti
interni, indurre processi elettrochimici violenti, tutte cose deleterie per la
batteria.
Un discorso a parte va fatto per la tensione di carica che dipende dal tipo di
batteria dal tipo di impiego e dalla temperatura a cui è eseguita la carica.
Tipicamente una batteria la piombo richiede una tensione di carica di circa 2.3
V per elemento (13.56 V per una batteria da 12V).
Questa tensione varia però con il tipo di piastre di 40 o 50 mV e con la
temperatura in ragione di 3.9 mV/C°. Inoltre se la carica non è di tipo
‘mantenimento’ ma per uso ciclico, come per esempio la batteria di
un motore, questa tensione deve essere aumentata fino anche a 2.5 V elemento
(15V per batteria). Occorre ricordarsi però che a questa tensione la carica
deve essere ciclica come il processo di scarica. Apparentemente può sembrare
marginale parlare di mV (millesimi di volt) per una batteria ma invece, essendo
un processo elettrochimico, anche 10 mV possono alla lunga risultare
fondamentali. Allo stato attuale ci sono caricabatterie elettronici in grado di
provvedere autonomamente ai bisogni della batteria senza bisogno di interventi
esterni. Questi apparecchi possono, se specificato in chiaro dal costruttore,
essere lasciati collegati alla batteria per un tempo indefinito garantendo
quindi una lunga vita alla batteria stessa.
Verso il termine della carica nella batteria il liquido (l’acqua in
questo caso) inizia a scomporsi in idrogeno e ossigeno e a ricomporsi se la
carica è eseguita a basso amperaggio. Le batterie sigillate, solo se la carica
è moderata, non perderanno l’acqua delle celle mentre le comuni batterie
aperte tenderanno a rilasciare nell’ambiente parte di questi gas. Ecco
perché è richiesto il controllo del livello dell’elettrolito dopo ogni
carica e comunque almeno una volta il mese.
Un problema, divenuto famoso solo ultimamente, è la capacità di carica non
uguale delle celle, per cui è richiesta una carica equalizzata.
In pratica si è notato che gli elementi non sono tutti uguali e la loro
tensione di carica varia da uno all'altro di qualche decina di mV. Sembra poco ma
nel tempo questa differenza di soglia porta alla solfatazione degli elementi
con soglia più alta e la capacità della batteria si abbassa enormemente. Per
evitare questo problema esistono carica batteria equalizzati che, molto
semplicemente alzano il livello di tensione di carica ogni tanto
sovraccaricando leggermente alcune celle e ricaricando a fondo le altre. Se
usate spesso il motore per la ricarica questo problema non vi tocca: gli
alternatori danno sempre una tensione molto alta e più che sufficente ad
eliminare questo problema.





Collegamento di più
batterie

Le batterie si possono collegare, in linea teorica sia in serie, per
aumentare la tensione che si somma tra i vari elementi, che in parallelo che
aumentare la capacità in ampere che si sommano tra i vari elementi parallelati.
Questo solo in teoria, e solo comunque con piccole batterie possibilmente non
al piombo. In applicazioni importanti è permesso il collegamento serie per
aumentare la tensione ma mai il collegamento parallelo diretto delle batterie.
Purtroppo questo è spesso fatto sulle barche con staccabatterie che permettono
il parallelaggio delle batterie senza nessuna protezione che non sia la
resistenza dei cavi di collegamento. Questo non andrebbe mai fatto e vediamo
perché. Se due batterie sono uguali per tipo e stato di carica il parallelo
delle due darà, è vero, il risultato teorico voluto ovvero il raddoppio della
capacità sia in termini di Ah che di corrente di spunto. Nel caso invece, molto
più probabile, che una delle due batterie fosse diversa per tipo o peggio
ancora per stato di carica, nel momento della chiusura del circuito nella
batteria meno carica scorrerà tutta la corrente che l’altra batteria può
dare con rischi gravi che possono arrivare anche all’esplosione della
batteria se una è completamente scarica e l’altra completamente carica.
Si ricordi infatti che una batteria, specie se per accensione motori, è in
grado di fornire sullo spunto correnti che possono arrivare a molte centinaia
di ampere: una corrente enorme per una batteria che la dovesse ricevere. Anche
senza arrivare a casi estremi, l’esplosione o rottura
dell’involucro, è però sempre possibile, e abbastanza comune, il
danneggiamento delle piastre della batteria meno carica che dopo un po’
di questi trattamenti si romperà definitivamente. Nel caso di batterie di tipo
diverso, cioè con trattamento delle piastre diverso la condizione di parallelo
sarà fonte di una permanente condizione anomala. La batteria che ha un più alto
potenziale cercherà sempre di scaricarsi sull’altra che, non potendo
caricarsi più del limite fisico finirà per scaricare l’altra facendo nel
frattempo bollire il proprio elettrolito. Tralascio l’ipotesi di
parallelo tra due batterie completamente diverse anche come capacità, magari
una 45 Ah e una 120 Ah perché è facile capire a quali rischi andrebbe incontro
la più piccola batteria. Va detto, ad onor del vero, che grossi guai alla fine
non capitano mai sulle barche perché, oltre al cattivo progetto di base vi è
anche una pessima realizzazione dell’impianto elettrico con cavi spesso
troppo lunghi. In queste condizioni la resistenza dei cavi è sufficiente ad
evitare il peggio ma non è mai una cosa ben fatta.
Per quanto riguarda la ricarica le batterie, quando multiple, devono essere
separate tra loro da diodi e, quando possibile, anche da regolatori di carica
diversi. Non si tenti mai di ricaricare le batterie quando sono in parallelo
perché, oltre a rischiare di danneggiare il caricabatteria o
l’alternatore, rischieremmo di sovracaricare una delle batterie e
lasciare scarica l’altra o le altre.





Se serve il 24V
In alcuni casi in barca è richiesto di avere tensioni diverse dal 12V, come
ad esempio il 24V per una apparecchiatura professionale che tipicamente usano
questa tensione di lavoro.Per ottenerla si possono usare tre strade.


Per piccole potenze, inferiori ai 100-150 W (24V 4-6A) è possibile
utilizzare un survoltore elettronico, comunemente chiamato
"inverter", che formirà la tensione volutamente semplicemente e a
partire da 12V della batteria che abbiamo.


Per potenze più elevate la soluzione inverter diventa troppo costosa, anche
qualche milione per potenze oltre un 1 Kw, ed inoltre il rendimento è del tutto
insoddisfacente. Si tenga conto che gli inverter non troppo sofisticati, come
lo sono quelli professionali ad alta frequenza, hanno rendimenti spesso vicini
al 60-65%. In pratica per avere 600W veri occorre consumarne quasi 1000 e 300 o
400 di questi finiscono in calore dissipato. Meglio allora, se possibile,
installare un secondo alternatore sul motore da 24V e una batteria, o coppia,
adatta a quella tensione.


Volendo una soluzione intermedia molto economica
anche se non proprio ortodossa si può procedere nel
seguente modo.
Si acquisti una batteria da auto con corrente di 3-5 volte quella occorrente al
carico che vogliamo alimentare, un deviatore a due poli (2P2V) in grado di
reggere la corrente voluta e una resistenza da 4,7 Ohm/50W. Si colleghi la
batteria e il deviatore in modo che in caso la batteria è in serie alla
principale e il carico alimentato (ON) e nell'altro la batteria è posta in
parallelo alla principale attraverso il resistore da 4,7Ohm e il carico
disconnesso (OFF). In pratica si potrà fruire di una buona sorgente di 24V di
potenza per qualche ora al giorno ricordandosi di tenere l'interruttore su OFF
nelle altre ore in cui il carico non è utilizzato per ricaricare la piccola
batteria. Tutto questo è accettabile solo per carichi non esagerati e quindi
una piccola batteria ausiliaria. Diciamo che rispetto alla batteria principale
l'ausiliaria in serie non dovrebbe avere più del 25-30% della capacità della
prima. Questo per evitare i problemi già esposti.
NOTA La resistenza in serie non è un optional ma
è assolutamente necessaria per evitare danni gravi alle batterie.





Circuiti AC di ricarica
Per la ricarica delle batterie, quando la barca è all'ormeggio, si usa
normalmente un carica batterie connesso alla presa di banchina
a 220 Vac,o 110 Vac in altri paesi.
Un errore da evitare assolutamente è quello di connettere la terra della barca
con la terra che arriva dalla banchina attraverso il cavo di alimentazione del
caricabatteria. Sfortunatamente molti di questi oggetti, per motivi di
certificazione o omologazione sono costruiti con la terra connessa alla
carcassa e con il terminale negativo di uscita (-) connesso a questa. Se la
terra di banchina fosse perfetta e perfetto lo stato (elettrochimico)
dell'acqua sotto la barca non ci sarebbero problemi: di regola questo non
avviene. Il risultato è che rischiamo di trovarci con assi, eliche, supporti,
scarichi, o addirittura con mezzo motore se la barca ha i piedi poppieri,
attraversati da una corrente che fluisce tra la banchina e l'acqua a causa
della differenza di potenziale tra questi due elementi. In alcuni casi una
simile situazione può creare danni gravissimi
specie alle parti in alluminio della barca. Per evitare questa situazione ci
sono solo due strade.
· Utilizzare un caricabatterie del tipo isolato e quindi con la spina che non
ha la terra.
· Frapporre tra il caricabatteria e la banchina un trasformatore 220/220
lasciando aperto il collegamento di massa sul caricabatteria con la sicurezza
che scosse, se tutto funziona correttamente, non dovremmo prenderne.

Non utilizzare un caricabatterie esagerato, come potenza, rispetto al bisogno.
A meno che non si abbia necessità di usare grosse quantità di corrente
elettrica a 12V quando si è in banchina un caricabatterie non dovrebbe avere
una corrente superiore al 10% della corrente di targa della
batteria o batterie in carica. Questo specie se si vuole lasciare il
caricabatterie attaccato costantemente 24 ore su 24. In commercio esistono
molti caricabatteria ma, purtroppo, quelli per applicazioni nautiche hanno
prezzi assolutamente esagerati a causa della loro tecnologia di tipo switch. Il
consiglio è di acquistare un apparecchio, di buona qualità, per uso
automobilistico. In genere sono dei semplici trasformatori di potenza con un
circuito lineare di ricarica che è però perfettamente sufficiente all'uso: non
scaldano troppo e costano un quinto.

Se la linea del 220 viene usata anche a bordo per ulteriori utenze è
assolutamente necessario inserire un interruttore magnetotermico e un salvavita
tra la banchina e la barca.
Il salvavita e il magnetotermico devono essere rigorosamente
bipolari
per evitare che falliscano nel funzionamento a secondo
di come è cablata la presa in banchina. Nel dubbio sulla siglatura del
componente si chieda informazioni precise al venditore.





Auto scarica
Una batteria non in uso sì auto scarica a causa delle perdite, di vario
tipo, che si generano. La velocità di questo processo è molto variabile e
comunque legata al tipo di batteria e alla temperatura. Ad esempio le batterie
Pb-Ca (piombo-calcio), a temperatura ambiente completamente disconnesse e con
umidità ambiente normale, si scaricano di circa lo 0.1 / 0.3% il giorno, mentre
una tradizionale batteria al piombo arriva a perdere l’1% di carica nello
stesso periodo. Aumentando la temperatura l’effetto di scarica aumenta:
ad esempio, passando da 24 C° a 35 C° la corrente di auto scarica raddoppia. A
freddo il fenomeno diminuisce fino quasi ad annullarsi vicino alle temperature
di congelamento dell’elettrolito.
In pratica una batteria deve essere ricaricata ogni 20/40 giorni, per evitare
che la sua capacità residua scenda sotto il 60 / 70%, e che la permanenza in
questa condizione provochi un inizio di solfatazione.





Rottura meccanica
Per quanto teoricamente non dovrebbe essere possibile la rottura meccanica
delle batterie è una delle cause più frequenti di morte delle stesse. Le
batterie, specie se di tipo economico per applicazioni stradali, sono costruite
con materiali particolarmente leggeri e delicati. In particolare la giunzione
tra le piastre interne è costituita da sottili strisce di metallo che possono,
in determinate condizioni incrinarsi o rompersi mettendo la batteria totalmente
fuori uso in un attimo. Tutti gli automobilisti hanno subito, prima o poi, un
evento del genere e questo è, inconfutabilmente, legato alla cattiva qualità
che spesso si ritrova in questi prodotti, anche se di marca. Per evitare almeno
in parte la possibilità di una rottura meccanica occorre ancore al meglio la
batteria stessa e, possibilmente, farlo in un posto dove urti e vibrazioni
siano al livello più basso possibile. Per dare un giudizio di massima, senza
pretese di scientificità, sulla capacità di una batteria di reggere agli urti e
alle vibrazioni ci si può basare sul peso: a parità di capacità una batteria
sarà tanto più robusta quanto è più pesante.





Solfatazione
La causa più comune di morte di una batteria, insieme alla rottura meccanica
è la solfatazione delle piastre. Quando la batteria viene scaricata si forma
solfato di piombo sulle piastre in forma cristallina. Procedendo nel processo
di scarica aumenta la quantità di solfato sulle piastre fino a diventare uno
strato biancastro di ‘solfato bianco di piombo’. Procedendo ancora
si arriva, oltre a scaricarla del tutto, ad interrompere completamente
l’attività elettrochimica nella batteria stessa. In queste condizioni la
batteria diviene inutilizzabile e non potrà più essere ricaricata se non ad un
livello molto inferiore alla sua capacità nominale. È questo il motivo per cui
una batteria al piombo non deve essere mai completamente scaricata pena la
distruzione della batteria stessa. Occorre inoltre ricordare che anche scariche
parziali, ma prolungate e ripetute nel tempo, danno origine allo stesso
fenomeno anche se più lentamente e con esiti meno evidenti.


Un’altra causa di morte di una batteria è il livello troppo basso
dell’elettrolito. In genere, quando questo avviene è per evaporazione
dell’acqua in esso contenuta, e non dell’acido che evapora a
temperature ben superiori. In queste condizioni le piastre rimangono scoperte
nella parte superiore ossidandosi a causa dell’ossigeno dell’aria e
quindi danneggiandosi. Inoltre la parte bassa delle piastre si trova a lavorare
in un liquido fortemente più acido del dovuto con possibilità di danneggiamento
delle piastre stesse. Questi due fenomeni determinano una caduta, sul fondo
della batteria, di materiale conduttivo che può arrivare a cortocircuitare
l’elemento stesso della batteria rendendolo inutilizzabile e con lui la
batteria stessa.





Congelamento
Teoricamente una batteria non soffre di problemi di troppo freddo poiché la
temperatura di congelamento dell’acido contenuto è di circa –60 C°,
una temperatura quasi polare. In pratica, purtroppo, questo vale solo per una
batteria completamente carica, con densità dell’elettrolito maggiore di
1.260 Kg/l. Nel caso la batteria sia parzialmente o, peggio, totalmente scarica
la temperatura di congelamento sale rapidamente fino a raggiungere solo –
3 C° con densità dell’elettrolito inferiore a 1.050.
In questo caso la batteria, congelata, si danneggia con probabile rottura della
scatola se la temperatura scende fino a due o tre volte sotto la soglia del
congelamento. Una curiosità, legata al congelamento, è che inizialmente sulle
piastre dell’accumulatore si formano delle righe rossastre, sulla linea
di livello dell'elettrolito, che indicano l’inizio del congelamento
stesso. Sfortunatamente è quasi impossibile vedere questo fenomeno a causa del
contenitore e quindi la cosa non è utile ai fini pratici.


Carica percentuale

Densità elettrolito

Temperatura di congelamento

100 %

1.28 Kg/l

-60 C°

75 %

1.225 Kg/l

-37 C°

50 %

1.200 Kg/l

-27 C°

25 %

1.150 Kg/l

-15 C°

0 %

1.050 Kg/l

-3 C°

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